Rand'Ovada, lungo da casa.
19/10/2014
• Distanza 207.37
• Tempo 08:55:59
• Dislivello 3179
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Riflessione
A forza di pedalare da solo, ho dimenticato il rimo della corsa e anche se nelle randonnée, l’agonismo dovrebbe essere bandito, “l’imoprtante è arrivare” si dice, in realtà non è sempre così. Il perché è semplice, il confronto con gli altri implica sempre una piccola dose di agonismo. Lo strappo dove tenti di spuntarla sugli altri compagni di viaggio, la salita dove comunque ognuno va su del proprio passo, le lunghe tirate sui falso piani e pianure e anche un cavalcavia a volte crea lo spunto per la dose quotidiana di agonismo, anche nelle randonnée . Così è stato ieri, al Rand’Ovada.
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Senza auto
Sono senza macchina o meglio ne ho due ma anche due figli ed una moglie quindi, visto che mi piace pedalare, allora mi dicono pedala. Così ad Ovada ci sono venuto in bici, 24 km, fatti con calma in 54 minuti. Dopo una buona ed abbondante colazione, alle sette e un quarto parto, voglio un margine di tempo sufficiente per effettuare l’iscrizione. Aall’altezza di Rocca Grimalda, si affianca l’auto di Peppe Giordano e Fabrizio, seduto al suo fianco mi chiede quale percorso farò. Lungo, rispondo, lungo. Quando do la mia adesione, sentendo il mio nome, uno degli addetti mi appella. Tu sei quello che ha già provato il percorso corto, complimenti. Rispondo con un timido si ed aggiungo di averlo trovato molto bello. Ritiro il pacco gara con il numero 97, alcuni gadget, i due roadbook e le altimetrie dei percorsi. Uscendo, sono quasi le 9, ora di avvio delle partenze, la coda al tavolo del primo timbro è già lunga, vedo Marco Ferrarese nei primi posti. Claudio Dolcino, mi accompagna nella ricerca di Fabrizio, per lasciare il pacco gara in auto, portarlo a casa in bici sarebbe un problema.
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La partenza
Ritorno al tavolo della partenza e dopo poco ecco il timbro, 09:02 ed è il mio via, verso le Cappellette, verso questa lunga corsa. Sono già caldo per l’avvicinamento in bici, mentre salgo, mi attardo a chiacchierare con questo o con quel ciclista, poche parole per sapere quale percorso faranno, da dove vengono, le solite cose. Trovo un ciclista di Alessandria con il quale avevo fatto il Giro del Mare del 2013 proposto dalla ASD La Familiare. Era caduto, allora, ferendosi all’addome. Salgo, sui tornanti davanti a me, la lunga fila di ciclisti che avanzano, ognuno col proprio passo, ognuno con i propri pensieri, qualcuno incerto su quale percorso farà, qualcuno dubbioso se ce la farà a portarlo a termine, altri invece sicuri di farcela, io ho ancora qualche dubbio ma proseguo.
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La macchina fotografica
Frugo nella tasca posteriore dove tengo la macchina fotografica. Voglio immortalare questa lunga coda di biciclette che come un serpente si arrampica, su per la prima salita di questa che sarà una lunga giornata. Lo spettacolo è affascinante, faccio un paio di scatti prima di accorgermi che la mia vecchia Pentax Optio T30, non riesce più a mettere a fuoco l’immagine. Riprovo, quando la accendo fa un rumore strano, probabilmente il sudore, le cadute accidentali, l’acqua e tutte le cose successe a me in questi anni di bici, hanno influito sulla sua funzionalità e si è “rotta” di seguirmi e vuole andare in pensione. Proprio oggi, che più mi serviva, oggi che avrei avuto tanto da documentare fotograficamente mi lascia, con mio grande dispiacere e tristezza.
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Primo punto di controllo
Si, sono nero di rabbia per la macchina fotografica e scollino a tutta, mi butto giù in discesa a tutta ed in pochissimo tempo sono al punto di controllo di Orsara. Vedo i cartelli di avviso, vedo il tavolino con gli addetti ed invece di rimanere sulla strada, sguscio a destra dietro un auto parcheggiata a salgo sul marciapiede, porgo il cartellino per la verifica, mi chiedono dove sia il numero di gara, rispondo che è legato al canotto della sella perché davanti sul borsino da viaggio non sono riuscito a metterlo.
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Graditi incontri
Timbrano il cartoncino e riparto. uno spettatore mi grida, forza, ora è tutta discesa. Si è discesa fino a Rivalta ma sul percorso lungo di salita ce n’è ancora tanta, tantissima. Mi sono un po’ calmato per la disavventura della fotocamera, rassegnato a imprimere ogni singolo momento nella mia memoria. Salgo tranquillo verso Montaldo, quando un ragazzo con la maglia nera della Milano Cycling mi supera a tutta gettando lì un buon giorno, in segno di rispetto per l’evidente divario di età che esiste tra me e lui. Forse lo conosco, rilancio e lo raggiungo. Si, lo conosco, ci eravamo incontrati una mattina in primavera, aprile forse, dalle parti di Basaluzzo, quattro parole, poi ognuno per la sua strada. Si, ricorda anche lui, rallenta la sua corsa, sempre in segno di rispetto. Finisce lo strappo e dopo il paese incontriamo Walter Bianchi, viene incontro alla corsa, vedendomi, cambia direzione e si accoda.
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Uno strappo dietro l’altro e poi pianura
Proseguiamo in tre, il ragazzo inizia a forzare, per ora non faccio fatica ma il cuore si avvicina molto alla soglia massima e non è bello, la strada è lunga, non fa bene. Carpeneto, Madonna della Villa, Cascina Vecchia. Ora è falsopiano, si scende fino a Predosa, incontriamo altri ciclisti, uno è giovane e va forte anche lui, i cambi ce li diamo io ed il primo ragazzo, si va a tutta per gli 11- 12 km fino all’Iride la media in questo tratto è di 39 km/h, FC media 152 battiti, FC max 170, troppo. Walter si lamenta, mi dice se lo sanno che la strada è ancora lunga e la salita è tanta.
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Li lascio andare
All’Iride si svolta nella strada Val Lemme, inizia il lungo falsopiano con lo strappo del Muro di Cascinotta Proseguiamo a tutta, mano a mano che si sale la nebbia è sempre più presente, io sempre meno. Comincio a pensare che se vado avanti così mi toccherà deviare per il corto. Questo mi fa ragionare e decido di mollare, assieme a Walter, i ragazzi, spariscono nella nebbia sull’Aureliana, intravvedo appena le loro magre sagome in lontananza, poi scompaiono del tutto.
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La calma dura poco
Si riprende fiato, la gambe respirano, i polmoni tornano ad un ritmo normale, il cuore riprende un battito quasi normale ma di li a poco arriva il treno. 10 o 12 ragazzi, quasi tutti con una maglia bianco-verde, sono di Torino, spingono a tutta e ci accodiamo. Ancora fatica, cerco di gestire al meglio gli strappi. Siamo a Castelletto d’Orba, alluvionato, un po’ di confusione alla rotonda che costringe a compirne un giro quasi completo e si sale verso Montaldeo.
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Secondo punto di controllo
Sosta obbligatoria per il secondo timbro sul cartellino, tutti in coda, qualcuno rabbocca le borracce con acqua fresca io no, mi fermerò a Mornese alla fontana. Si riparte attraversando il paese, la strada verso Mornese, sale appena ma a quel ritmo fa male, guadagno spazio, recupero sul gruppo, avverto che alla fontana mi fermerò per l’acqua. Venti secondi di sosta, e sono già tutti spariti.
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La caduta
Riparto immediatamente, non mi importa di aver perduto le loro ruote a dire la verità l’ho fatto di proposito, con quel ritmo di corsa non sarei riuscito a tenere loro dietro su per l’Alpino e quindi li ho lasciati andare. Esco dal paese, entro nella curva a sinistra e li vedo, lì, fermi, una bici è a terra, tutti sono attorno a uno dei ragazzi che è caduto. La curva bagnata, un colpo di freni inopportuno e la botta è forte, danni alla bici pochi, il ragazzo, sanguina dal ginocchio e dal gomito, ha il casco ammaccato per la violenta caduta. Mi fermo, un paio di minuti, una signora mette a disposizione un pacco medico, il ragazzo caduto continua a sanguinare abbondantemente da un buco sulla gamba sinistra. Auguro loro “buona fortuna e riparto. La strada scende appena, dopo un paio di curve asciutte entro in una a gomito, infangata, viscida, la bici allarga, smetto di pedalare, la bici allarga sempre di più mi preparo al volo, che per fortuna non arriva, completo la curva al limite del fosso, ne esco indenne, spero che anche chi mi segue riesca a rimanere in sella, ancora due chilometri e sarà Alpino, la prima salita seria della giornata.
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L’Alpino
Non è lunga, 4.8 km, la prendo con calma, le gambe girano bene ora, salgo in modo costante, più o meno a metà salita mi supera un gruppetto della Uà Cycling Time, mi pare di riconoscere Andrea Massucco ma forse mi sbaglio. Più in su in un tornante, Beppe Trevisan scatta foto a tutti quelli che passano, saluto, alzo il pollice in segno di approvazione, continuo la mia lenta scalata. Sto’ per scollinare, l’ultimo strappo al 9% e arrivano alle mie spalle tre dei ragazzi di Torino, tra loro quello caduto, sanguina ancora dalla gamba sinistra ma pedala bene. mi accodo, nella lunga discesa, indosso il giubbino senza fermarmi.
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Guado del Gorzente
Ristoro, finalmente, ci fermiamo tutti, altri sono già li da qualche minuto. Arraffo due mezze banane e le butto nella borsa al manubrio, due fette di salame fanno gola e piacere, le mangio subito e riparto. Raggiungo un anziano ciclista astigiano, scambiamo due chiacchiere, salendo, pigramente, senza fretta, come vecchi amici. Uno dei Torinesi attacca arriva da dietro ad una velocità impensabile per me, ora. Un attimo e sparisce dietro la curva, Proseguiamo del nostro passo fino a che non arrivano altri ciclisti, aumento il ritmo, si passa assieme la Benedicta, il peggio è passato tra poco si scollina.
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La discesa Campo Ligure
Da subito un continuo su e giù, poi diventa veloce, la strada nelle curve ombreggiate è bagnata, scendo con parsimonia ma dove posso rischio mollando i freni. Curva, tornante, curva, alcuni tratti bagnati fradici, foglie appiccicate a terra, scivolose, infide. Continuo a scendere, la strada l’ho già percorsa giovedì scorso e ricordo perfettamente una curva a sinistra, una delle ultime, quasi a valle, interamente coperta di fango. La aspetto con ansia ed eccola, freno, prima di entrare nello sporco, la bici è stabile, ancora poco e sono a Campo, scorta d’acqua alla fontana e si parte per il Passo del Turchino.
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Svolta sinistra, percorso lungo
Sto’ bene e salgo il Turchino, la salita fino a Masone è lieve e salendo riesco a mangiare, nessuno alle mie spalle e nessuno davanti a me, solo come sempre, guadagno in poco tempo la nuova galleria, uscendone, la svolta secca a sinistra mi porta più in su di qualche metro, la vecchia galleria che ho percorso tante e tante volte negli anni passati è lì abbandonata, triste, dimenticata. Parcheggio la bici contro ad un New Jersey, al sole che finalmente si è deciso ad uscire. Mangio ancora, mi libero di indumenti necessari fino ad ora e li ripiego sull’elastico della borsa, ora fa caldo, ora si sta bene.
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La salita più lunga
Il Faiallo, la salita più lunga della giornata, strada imprevedibile, strada bastarda, la prendi col sole e ti ritrovi in un diluvio, la prendi con la nebbia e dopo poco soffochi dal caldo, sempre che non ci sia vento o tempesta o qualsiasi cosa uno si possa aspettare da una strada a picco sul mare ma con le caratteristiche di un passo alpino. Comincio ad essere stanco, la gambe girano a fatica, forse ho trascurato l’alimentazione, forse non sono in grado di completare il lungo ma ne ho fatte di peggio e allora, animo, forza sono solo 11 km. Salgo, verso la vetta, sale anche la nebbia, tanta che la visibilità si riduce a soli 50 metri. Salgo, col rapporto più agile che ho (39x26) a superare i tratti più duri. Un soffio alla mia destra e i ragazzi torinesi sono nuovamente addosso, ci sono tutti questa volta, anche la ragazza bionda, resto a ruota un po’. Un’auto nera, di grossa cilindrata azzarda un sorpasso, siamo accodati e il gruppetto è lungo. Supera dando gas al massimo, una nuvola nera si sprigiona dal tubo di scarico avvolgendo tutti. Di fronte dalla nebbia, sbuca un SUV, l’auto nera stringe a destra, quasi investe i primi della fila, il SUV è costretto a fermarsi per evitare una collisione, l’auto nera svanisce tra la nebbia ed il fumo nero, tra le proteste generali di miei compagni ciclisti.
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Nebbia fitta
Se ne vanno, la ragazza resta indietro di qualche metro, se ne accorgono e la riportano sotto, io sono già staccato, non reggo il loro ritmo, scompaiono nella nebbia e sono nuovamente solo. La salita la ricordo bene, l’ho già fatta decine di volte ma nella nebbia non ho punti di riferimento e non riesco a capire a che punto sono. Aspetto il Bric del Dente per avere un po’ di fiato, poi so che è quasi finita, l’unico aiuto me lo danno i cartelli indicatori dei km. Ecco il Bric del dente, si scende nella nebbia, fa freddo per fortuna non c’è vento, saranno 800, 1000 metri ma celati dalla nebbia sembrano infiniti. Si risale, ancora uno sforzo e poi sarà tutto più semplice.
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Verso Urbe
Scollino, giubbino addosso e giù deciso verso il ristoro di Urbe, spero che ci sia ancora del salame, quello del guado era veramente buono. La strada è bella, la nebbia si dirada appena, scendo più veloce che posso, ecco, a destra, il bivio per Acquabianca, la scorciatoia per Tiglieto, proseguo dritto, Vara Superiore, Vara Inferiore, si scende fino ad Urbe, mi raggiungono alcuni ciclisti, uno è della Uà. Stop al ristoro, ancora due mezze banane, un bicchiere di tè caldo e riparto. Uno dei ciclisti, quello della Uà mi raggiunge e supera sul dosso per Martina Olba, gli altri non si vedono. Supero Martina, un corta discesa ed al bivio per Olbicella inizia l’ultima salita.
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Terzo punto di controllo
C’è il sole, fa quasi caldo mi berrei volentieri una birra ma non c’è tempo, salgo verso Tiglieto e su uno spiazzo, al sole ecco il terzo controllo. Timbro, mi avvisano che dopo qualche km di discesa devo svoltare a destra, annuisco, dico che conosco la strada. Via si sale ancora. Questa della Crocetta è una salita semplice e finisce subito. Scendo senza giubbino, il sole aiuta, la visibilità è ottima e finalmente si vede qualcosa in più che non l’asfalto della strada. 2600 metri di discesa e il bivio per la Strada del Latte è lì a sinistra ad aspettarmi. Uno sguardo a valle, non arriva nessuno, svolto di botto, sfruttando la velocità della discesa appena terminate per rilanciare sullo strappo iniziale della bellissima strada del latte.
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Tutto un su e giù
So’ che è finita, l’adrenalina sale alle stelle, ancora 15 km e sono ad Ovada ma prima devo fare i conti con gli innumerevoli dossi perenti su questa strada spettacolare, che nulla ha da invidiare alle più belle alture svizzere, prati verdissimi, bestiame al pascolo, cascine, una veduta splendida, una stupenda cartolina. Continuo nei su e giù, al bivio per Rossiglione, tengo la destra in direzione Costa d’Ovada, la strada del Termo, ancora saliscendi ma non li sento più, le gambe volano, è quasi finita.
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Controllo segreto e arrivo
Me lo aspettavo in questo punto, il tavolino al bordo della strada, con Walter Bianchi che questa mattina era con me sui primi km della randonnée, assieme a lui è Mirco Scarsi, scambiamo due parole, scherziamo, mettono l’ultimo timbro e ora è tutta discesa, pochi km e sono all’arrivo, ultimo timbro, 16:21, sette ore e diciannove minuti il tempo totale, sette ore il tempo pedalato. Ritrovo marco, ci accompagniamo verso casa in bici, lui avanti, io dietro con la borsa regalo in più offerta dall’organizzazione. Tribolo un po’, ogni tanto la borsa sbatte sulla ruota anteriore e chiedo aiuto a casa, per il recupero delle borsa e del suo contenuto. Libero dal peso in più riprendo la corsa verso Casal Cermelli. 207 km oggi in una giornata di ottobre inoltrato con tratti in parte autunnali e in parte estivi. Una bella corsa che spero si ripeterà in un prossimo futuro. Complimenti all’organizzazione.
Distance: | 207,4 km |
Elevation: | +3334 / -3335 m |
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