“Tordus Merula & grosso cane” Un bel giro verde scuro, in una giornata di sole pieno con appena un po’ di foschia lontana, poco vento finalmente da Sud, che permette di raggiungere belle strade in collina per poi rientrare senza troppa fatica. Salito a Gianola e raggiunto Castelboglione, approccio la salita di Strada Gallasia, ancora troppo impegnativa per le mie attuali condizioni, ma sono fatto così, un po’ ignorante e un po’ temerario. Non è lunga questa stretta strada, che dall’abitato di Castelboglione sale a strappi in direzione di Rocchetta Palafea. 8.8% medio su 2.3 km divisi a strappi duri con punte del 15%, fondo a tratti viscido dove si deve salire seduti, altrimenti la ruota dietro perde aderenza e si rischia di metter giù il piede. Salgo con tutto il mio impegno e nei tratti più duri con la voglia di scendere dalla bici, ma tengo duro e scollino. Sto cercando di arrivare alla Regione Merla Morta, ma il dedalo di stradine della zona mi confonde e mette insicurezza. In un tratto pianeggiante, noto un signore che si fa portare a spasso da un enorme cane da pastore maremmano abruzzese, lo raggiungo ma resto a debita distanza. Tempo fa su dalla Collina Pergatti, nell’incontro fortuito con un cane della stessa razza, ero stato addentato al polpaccio destro (questo il racconto http://www.unrandagioinbici.it/urb/escursioni/100-150-km/499-il-gelso-abbattuto ) e la cosa non mi era piaciuta. Chiedo informazioni, il padrone del cane fatica a trattenerlo, mi vedo già mordicchiato a piacere, ma il cane che è veramente enorme, è però docile e dolcissimo, mi lascio andare e lo accarezzo. Apprezza e col muso spinge la mia mano, quasi a voler amplificare la carezza. Gentile anche il padrone del cane che mi indica dettagliatamente la strada per raggiungere la mia destinazione. Il cane ha una vistosa cicatrice non ancora guarita sulla coscia destra, vengo informato che la povera bestia, di solito in libertà, la settimana scorsa è stato attaccato da un cinghiale ed ora non può lasciarlo andare da solo. Mi attardo con loro, continuando a fare carezze al cane e compimenti al suo padrone, il quale mi dice che la socievolezza dell’animale è dovuta anche al fatto che sia stato addestrato. Mentre lo sta dicendo, il cagnolone alza una zampa posteriore e lancia un copioso getto di urina contro la mia bicicletta, probabilmente l’addestramento non comprendeva questa materia. Riparto seguendo le indicazioni date e salgo la Regione Merla Morta dal versante più facile, scendendo poi a Bistagno. Da qui, tutto facile, il vento alle spalle mi porta a casa velocemente. Questo bel giro era in programma per ieri - ultimo Girono della Merla - ma mi sono trovato la gomma anteriore a terra, col solito foro in pancia dovuto al salva camera che si sposta, così rimandato il giro, sono andato a comprare due ruote nuove e oggi le ho provate. Merla Morta, mi chiedo cosa abbia originato questo toponimo. Ora per chi conosce il Piemontese ed ha voglia di rilassarsi e ridere un po’, di seguito la leggenda della Merla e del perché da bianca che era, ora è nera come il carbone. I dì dŗa merla Na vóta, i divu i vég, genàij l’ava ammàchi ventot dì e fébrai un’ava anvéci trantēii. Semper i vég i divu, che a cui temp i merl i ieru biònc cmé la fiòca e genàij il meis pi gràm dl’invèrn. Il prim meis ad l’ani l’éra dispetus e ui piasiva fé tribilé i’òmi e iŗ bèstij. Us divertiva a scuraté ŗa merla e’i sò merlòt, ogni vóta che sa povra bestia a surtiva da u’nì per sirché da mangé genàij u i’anversava an spali, ventri, fióca, frég, giasa e nebia. Nebia acsì sciàsia che u s’aughiva nènt a in meter dau nas. Ma in ani, ŗa merla stufa ad ciapé dra frégg a s’era scundia ansema an cui merlot, an tu so ni, a s’éra migiaja roba da mangé par tit iŗ meis. Finì genàij, l’era surtìa fóra daù nì e sighira che iŗ pés l’era pasà, la piava angir genàij. A stà vota at’lhó propì fàcia, tài finì ad fém żré ŗa cóua a na parlóma a st’an cuen. E la cuntinuava a piél an gir e ai nà diva ad tìč i culur. Genàij, che c’me ca vó sà dìč, anlura l’ava ampéina véntvuót dì l’ha ciamà febrai cu stava par rivé e u ia dìč se per piasì ui lasava in para di sói dì. Febrai, cl’éra in meis chét e brav e poi l’ava da fe na cumisiöu, ad dì, ui na lasà trei e genàij truòndsi turna an pista, l’ha tacà a tré żì fioca e ventri e giasa e nebia di e nòč, tónt che ŗa merla truóndsi spaisaia, per nent murì drà frég a s’è anfiraia ansema an cui merlòt andrenta d’in camēii e ajera armaża per trèi dì fina a l’ariv ad febrai, cl’ava sibìt purtà n’a bela giurnà ad sù. Ŗa merla vìst cu fava pì cula gran frégg a s’era decisa a sorti dal camēii, ma la so bela piima bionca l’era tita ancanisaia e l’era amnia neira c’me l’avlì. Da anlura i’ultim tréi dì ad genàij i söu semper i pì frég e cativ e i merl i söu armas nei c’me la canìsu. SEMPREINSELLA.